Ancora per gentile concessione del periodico S-tralci

 

 

         Caro Sig. Andrea,

 

la Redazione di S-tralci, che ringrazio, mi offre cortesemente l’opportunità di una replica al suo intervento “Il caso Zanco” apparso sul numero zero.

Premetto che gli insuccessi in Matematica della maggioranza degli studenti italiani sono ormai considerati, anche dalle autorità cui compete l’organizzazione dell’insegnamento a qualsiasi livello, un’emergenza nazionale; premetto anche che tale situazione non deve stupire, in un paese nel quale è diventato ormai un vanto dichiarare di “non capire nulla di matematica” (e invece non si trova chi sia disposto ad ammettere di non capire nulla di letteratura, o filosofia, o storia dell’arte…). Forse anche questa moda finisce per influire sul mediocre servizio che mediamente le nostre scuole pre-universitarie offrono in ambito scientifico. Mi pare che anche lei riconosca la situazione.

     Dove le nostre opinioni sembrano divergere è su come io avrei, o non avrei, cercato di porvi rimedio. Se, come mi sembra di aver capito, lei ha seguito le mie lezioni di inizio d’anno accademico, in particolare la prima, ricorderà che avevo rivendicato per la Matematica una doppia valenza, formativa e informativa, esaltando la prima in quei contesti, come appunto quello della Facoltà di Agraria, dove per comprensibili motivi è impensabile che gli strumenti matematici forniti siano sufficienti per gestire situazioni che richiedano un impiego determinante di tecniche matematiche anche solo standard. Così ad Agraria (e non solo!), a mio parere, l’insegnamento di  Matematica dovrebbe prima di tutto contribuire alla costruzione di una valida “forma mentis”, cioè essenzialmente educare al “buon senso” e fornire solo una quantità limitata di strumenti, comunque assolutamente basilari, nell’intento di contribuire alla costruzione di una cultura più generale che specifica. È naturale che, ove una persona con limitate, pur sicure, conoscenze matematiche debba prendere decisioni di peso che su tali conoscenze si fondano, chieda la consulenza di un matematico e non si fidi soltanto dei propri ricordi! Non va inoltre dimenticato che la Matematica appare tanto più difficile quanto più la si “subisce”: assai di frequente, dopo essersi impadroniti di qualche concetto, appaiono elementari deduzioni prima ritenute “impossibili”. In parole povere: più si va in profondità, meno disagio si prova. 

     A queste considerazioni ho adeguato, nelle condizioni attuali illustrate dalla premessa, il mio “insegnamento della Matematica”. Coerente con esse, la mia organizzazione del corso ha previsto da subito uno sfoltimento considerevole del programma rispetto a chi mi ha preceduto (quanti argomenti in meno! Algebra lineare, integrali impropri, equazioni differenziali, funzioni di più variabili reali…) e, non appena è stato possibile,  una sua ridistribuzione su due quadrimestri, per consentirne una adeguata “digestione”. Ho invece privilegiato quegli argomenti (Calcolo combinatorio elementare su tutti) che ritengo utilissima palestra per la mente e possono venire sviluppati a “cultura zero” (è preoccupante che siano risultati i meno graditi…). E, durante le prove scritte, ho consentito sempre e comunque l’impiego libero di ogni supporto cartaceo (libri, eserciziari, appunti compresi) e/o informatico (che non consentisse contatti con l’esterno), proprio per liberare il candidato dall’ossessione di doversi fidare della memoria. Certo, in questo modo lo studio meccanico avrebbe dovuto essere sostituito da un apprendimento consapevole, di qualità molto più che di quantità, che richiede un impiego “attivo” e “creativo” delle facoltà mentali: è a questo punto che ho avuto dai più (per fortuna non da tutti!) un netto rifiuto. Assorbire è assai più facile e comodo che imparare! Ma se la Matematica deve finire per ridursi ad una sequenza di automatismi, perché non può essere sostituita  dall’impiego di un computer? Costa molto meno di un uomo ed è, in ogni processo automatico, assai più veloce, sicuro ed efficiente!

Ho constatato, e tuttora constato, purtroppo, che i più sono disposti a barattare un uso “attivo” delle proprie facoltà mentali con ore e ore di apprendimento “passivo”: a consuntivo, l’energia impiegata rimane comunque inferiore (ma il rendimento molto inferiore…). È veramente un peccato che si rinunci a piccole o grandi soddisfazioni per un po’ di reticenza iniziale ad affrontare qualche sacrificio: chi è, o è stato, alpinista o uomo di sport potrà apprezzare ancora meglio di altri questa mia considerazione.

     Lei, Sig. Andrea, mi rimprovera di avere comunque fallito,  riportando a riprova un dato singolare, anche se relativo ad un singolo appello d’esame. Dunque lei sembra ritenere necessario che, al termine di un insegnamento, si registri una buona percentuale di “promozioni”agli esami, per poter concludere che il docente ha assolto il suo compito. Mi limito ad osservare che, nel caso lei lo ritenesse anche sufficiente, si troverebbe in ottima compagnia: ministri, educatori, molti colleghi del docente, che vedrebbero gli studenti liberi di concentrarsi sulle proprie materie, la pensano esattamente così. Senza tenere conto dei cosiddetti “indici di produttività” delle università e, dulcis in fundo, delle valutazioni, probabilmente entusiastiche, espresse dagli studenti stessi: qualcuno oserebbe mettere in dubbio le capacità didattiche di quel docente?

     Ma sarà proprio così difficile, per un docente, realizzare una buona percentuale di successi agli esami? In fondo è suo il giudizio, tradotto in voto, sui candidati! Riferisco ciò che mi ha confidato uno studente dopo aver felicemente superato un esame del tipo “Matematica” (per ovvie ragioni, non posso dire di quale corso di laurea; dico solo che si tratta di un corso di laurea dove Matematica è un insegnamento “di servizio”, come ad Agraria). A me, che lo avevo informato di  avere sempre cercato di sfoltire i programmi dei corsi che mi venivano affidati per poter privilegiare la qualità sulla quantità, ha candidamente dichiarato: “Vede, per me e per molti miei compagni la  Matematica è un insieme di simboli che, dopo l’applicazione di un insieme di regole ad hoc, si trasforma in un altro insieme di simboli”. Ha usato proprio questo termine: “simboli”, non “vocaboli” o “affermazioni”, men che meno “idee”, proprio “simboli”. Lascio a lei stabilire, Sig. Andrea, se sia una dichiarazione esaltante o avvilente. E indovinare i giudizi riportati dal docente che ha condotto quegli esami.

     Le auguro comunque di procedere nei suoi studi con molta  più soddisfazione di quanta abbia potuto averne da me; nel rammarico di non essere stato per lei un Insegnante, la saluto, mi permetta, con simpatia

 

                                                                        Clemente Zanco